Perché non riesco ad essere solidale con Giulia Innocenzi…

Postato il Aggiornato il

Nei giorni scorsi, è diventata popolare la notizia della povera Giulia Innocenzi che, approdata in un agriturismo, non ha trovato nulla di adatto alle proprie esigenze di vegana; indignata, dopo aver finito l’antipasto a base di verdure che le era stato servito, ha deciso di andarsene.

Giulia Innocenzi, lo ricordiamo per chi lo avesse dimenticato, è la conduttrice di quel capolavoro di programma dal titolo: Animali come noi, dove abbiamo avuto il piacere di vedere all’opera personaggi del calibro di Valerio Vassallo; è anche autrice del libro Tritacarne e si definisce: “vegana, all’occorrenza vegetariana”. Vale a dire che la nostra segue un regime alimentare vegano, ma se non c’è altro fa uno strappo e introduce uova e latticini.

Io sottoscritta, autrice di questo articolo, sono stata a mia volta vegetariana per cinque anni (tra il 2001 e il 2006, più o meno), in un’epoca in cui non andava di moda, non c’erano opzioni veg ovunque e il dibattito non era poi così acceso. Personalmente non ho mai rotto le scatole a nessuno, dato che la mia era una scelta non violenta e per me anche l’aggressione verbale rientra tra le forme di violenza; ho smesso sia perché ho riflettuto sulla profonda ipocrisia del mio stile di vita, sia perché fisicamente non potevo dire di stare bene. All’inizio forse sì, dopo cinque anni no… ma questa è un’altra storia.

Quello che vorrei dire a Giulia Innocenzi è che, ormai sedici anni fa, non ebbi mai (sottolineo: MAI) problemi a mangiare fuori casa, da vegetariana. Posso anche giurare, su quanto ho di più caro, che in quei cinque anni non sgarrai una sola volta consumando carne e pesce.
Questo perché per un vegetariano non è difficile alimentarsi, a patto che non abbia pretese assurde e che sia abbastanza umile da capire che il mondo non può piegarsi alle sue esigenze.
Sì, cara Giulia, perché è questo il punto fondamentale: l’umiltà di chi è consapevole di essere in una condizione minoritaria.

Non riesco a credere che un ristoratore non sia capace di fare un primo a base di verdure, una torta salata o un tagliere di formaggi o una frittata per secondo, un dolce non contenente strutto per dessert. Sono tutti piatti della tradizione, in genere presenti ovunque.
Potrei ribadire quello che altri hanno già detto, ovvero che prima di entrare in un ristorante (o in un agriturismo) sia buona norma consultare il menù e decidere se faccia al caso nostro o se si debba andare altrove; quello che, però, mi preme sottolineare è l’importanza dell’atteggiamento del cliente rispetto al ristoratore.

Una delle mie più care amiche, celiaca, fa le proprie ricerche in anticipo, quando vuole andare a cena fuori; operazione piuttosto semplice, nell’epoca di internet e dei social media. Domanda l’opzione gluten-free perché è consapevole della sua esistenza; tuttavia, se anche ci troviamo per strada e decidiamo di fermarci da qualche parte per uno stuzzichino, e l’opzione gluten free non c’è, non ne fa un dramma: si limita a non ordinare cibo o a ordinare alimenti naturalmente privi di glutine.
A differenza del veganismo, la celiachia è una malattia certificata, eppure non tutti i locali hanno la capacità e la disponibilità per creare un menù completamente privo di contaminazioni. Tuttavia a differenza dei vegani, che assumono su di sé il marchio del martirio, non ho mai assistito a sceneggiate da parte di celiaci o peggio ancora di allergici – persone con un problema SERIO (le allergie possono portare anche alla morte) che si informano adeguatamente proprio perché non vogliono correre rischi.
Mi domando, allora, perché per un vegetariano o per per un vegano – il quale, se anche ingerisse prodotti animali, NON avrebbe conseguenze sul piano fisico – non possa essere lo stesso.
Con quale arroganza davanti a pasta al pomodoro, pasta aglio e olio, pasta cacio e pepe (per i vegetariani) si dice di no, che non è abbastanza, che me la posso fare anche a casa?
Qui non siamo più nell’ambito di individui con esigenze particolari che cerchino qualcosa di adatto a se stessi; qui parliamo di individui che vogliono che il resto del mondo si conformi alle loro specifiche esigenze personali. Ai loro capricci, se così vogliamo dire, dato che rifiutare dell’ottimo cibo sulla base del “non lo voglio e non mi piace” è un capriccio travestito da “scelta etica”.
Ricordo ancora l’orrore che mi suscitava, dopo mesi (e poi anni) di auto-lavaggio del cervello, l’idea di un panino col salame… ma non era che un blocco mentale mio, che mi ero procurata da sola. Tornata a mangiare carne e pesce non ebbi alcun problema, tranne domandarmi come avessi fatto a privarmene così a lungo.

Il ristoratore è un commerciante che mette a disposizione un prodotto; al cliente la scelta se acquistarlo o meno. Certo, si potrebbe implementare il menù con opzioni vegetariane o vegane per aumentare il proprio giro d’affari, ma questo dipende anche dal numero di richieste in questo senso e se effettivamente convenga farlo. La solita legge della domanda e dell’offerta, in buona sostanza, ed è ragionevole ipotizzare che per alcune piccole realtà sia più conveniente improvvisare sul momento, che non preparare in anticipo piatti che vengono venduti di rado.
Inutile dire che partiamo dal presupposto di un avventore intelligente che sentendosi dire: “qui serviamo carne / pesce, ma le possiamo cucinare…” accetti quanto proposto. Se, invece, il discorso verte su alternative quali soia, seitan, mopur, quinoa… a nessun commerciante può essere chiesto di acquistare articoli che magari non venderà, per soddisfare un cliente occasionale che forse non rivedrà comunque una seconda volta.

Per cui, cara Giulia Innocenzi e cari tutti, smettetela di fare i martiri, le vittime, i discriminati.
La realtà è che non appartenete a nessuna di queste categorie.
La realtà è che voi fate delle scelte che potete interrompere in qualsiasi momento, se solo lo decidete.
La realtà è che le alternative ci sono, se avete la capacità di adattarvi e non partite con l’idea che siano gli altri e dovervi venire incontro (e non il contrario).
Non ha alcun senso che vi paragoniate a chi ha un problema concreto e privo di soluzione; in un certo senso, è un atteggiamento offensivo verso chi il problema lo vive davvero.
È come vedere un quindicenne lamentarsi col compagno che va in giro con le scarpe bucate, in quanto non può permettersi un paio di scarpe nuove, perché i genitori non gli hanno comprato l’ultimo modello di i-phone.
Onestamente, è ben oltre il limite del ridicolo e dell’assurdo.

-Freya-

Un pensiero riguardo “Perché non riesco ad essere solidale con Giulia Innocenzi…

    Urginea ha detto:
    4 novembre 2017 alle 17:52

    Come non essere d’accordo? Complimenti per l’articolo, Freya!

    "Mi piace"

Lascia un commento